Il Brasile che non conoscete!

A parte il fatto che ancora oggi mi si dica che Buenos Aires è la capitale del Brasile, e mi si chieda se il nostro idioma è lo spagnolo… credo che del Brasile, all’estero si conosce solo il calcio e il carnevale, per non parlare della Foresta Amazzonica, che ci accusano de star distruggendo: Noi???????? Ma cerchiamo di essere seri, per favore!

Di recente, quando ho avuto problemi di salute mentre ero lì, in vacanze dai miei, mi sono sentita dire, da amici che erano preoccupati per la mia decisione di rimanere lì per curarmi: “Ma, ne sei sicura? Non è meglio che torni in Italia?”

Noooo!!! In Italia, fino ad oggi, mi hanno solo combinato dei guai, in materia di salute!

Quattordici anni fa, mi hanno somministrato dei cicli di chemioterapia, da ammazzare un cavallo, per un tumore che neanche maligno era! E questo per lunghi otto mesi. Alla fine, ho dato retta a mia sorella _ medico in Brasile _ e sono partita… per scoprire, dopo neanche 10 giorni, che avevo un carcinoide, cioè, un tumore che si assomiglia a un carcinoma, ma, in realtà, non lo è. Qui, invece, mi avevano diagnosticato un microcitoma: un tumore che ti manda alla tomba in pochi mesi!

Sarebbe bastato un intervento chirurgico tempestivo, e non ci sarebbe stata la necessità di chemio e di tanta sofferenza. Questo, se la diagnose che lì _ in un Paese del Terzo Mondo _ è stata fatta in pochi giorni, fosse stata fatta anche qui, in un Paese del Primo Mondo.

E guarda caso che la biopsia, qui a Roma, era stata eseguita ben due volte, dal medico considerato “il papa” nella sua specialità… Immagino quel che sarebbe successo se lui fosse stato solo un povero “diacono”, per rimanere in campo clericale…

Poi, nel 1999, sono caduta dal motorino e, oltre alla lussazione del gomito, mi è uscita una piccola scheggia del capitello radiale. All’ospedale, per mettermi a posto la lussazione (a freddo, cioè, senza anestesia… non so perché i medici italiani credono che dobbiamo sentire dolore!!!) il dottore di turno mi ha provocato la rottura, in due punti diversi, della testa del radio. Poi mi ha messo il gesso. Due giorni dopo, io urlavo dal dolore! E giù antidolorifici. “Su, signora! Stia buona che presto le passa il dolore!” Col cavolo! Il dolore è passato sì. Ma solo dopo l’intervento del papà di una mia carissima amica, un professore specialista in ortopedia, che ha scoperto il misfatto del primo dottore _ ovviamente, solo dopo avermi levato il gesso, per cui non ho potuto accusare l’altro di incompetenza! _ e mi ha fatto l’intervento che ha messo il mio braccio di nuovo a posto.

Questo scherzetto mi è costato cinque mesi di lontananza dal lavoro, oltre a più di un anno di fisioterapia, per riprendere totalmente la mobilità del braccio: il destro! E non sono mancina… E al lavoro, ho a che fare con il computer… per cui l’uso del braccio e della mano mi è proprio imprescindibile!

Quindi, quando adesso, nello scorso aprile, mi si chiedeva: “Ma sei sicura di rimanere lì in Brasile? Non è meglio che torni in Italia?” _ mi si drizzavano i capelli. L’unica cosa che mi attirava per tornare, era che Autopia stava per partorire. Ma una volta che mio marito, la mia migliore amica e il veterinario dei nostri pets mi hanno rassicurata, non ho avuto nessun dubbio: sarei rimasta in Brasile, nelle nostre strutture e con i nostri medici!

Chiaramente, non tutto è bello in termini di salute in Brasile. Ma dovete considerare la grandezza del nostro territorio, il numero della nostra popolazione, la povertà che ancora esiste in gran parte del mio Paese, e tanti altri aspetti della nostra vita di “Paese del Terzo Mondo”. Ma vi posso assicurare che nelle grandi metropoli _ São Paulo, soprattutto, ma anche Rio de Janeiro, così come altre grandi città brasiliane _ le strutture ospedaliere farebbero impallidire di invidia, per organizzazione, pulizia, competenza dei medici e personale infermieristico, oltre a attrezzature, cordialità e gentilezza con le persone ricoverate _ le più importanti strutture ospedaliere italiane.

Casi come quelli che i mezzi di comunicazione italiani riportano continuamente, successi in ospedale non del profondo Sud, ma di Roma, Milano e altre importanti città d’Italia, sono lontani anni luce dalla realtà della Medicina in Brasile.

Mi permetto di indicarvi alcuni siti web di queste strutture, solo a titolo di curiosità e per farvi conoscere qualcosa. Ovviamente, un bel website non è per nulla segno di competenza e affidabilità, e lo so benissimo. Ma dare uno sguardo e cercare di conoscere qualcosa di questo Brasile che ancora non conoscete e del quale io sono fiera, non guasta!

http://www.einstein.br/portal2007/default.aspx

http://www.hospitalsiriolibanes.org.br/

http://www.hospital9dejulho.com.br/

http://www.hcanc.org.br/

http://www.hcnet.usp.br/

http://www.beneficencia.org.br/

Forse molte di voi pensate che noi, in Brasile, ci curiamo ancora con lo stregone della tribù: ma in che mondo vivete? Oggi non c’è più la scusa della distanza geografica, poiché la rete web ha trasformato in realtà, più che mai, le previsioni di Marshall McLuhan: il mondo è diventato davvero, un enorme villaggio globale!

Da molto si è arrivati, in Brasile, alla convinzione che la miglior terapia che esiste è la Medicina Preventiva, e su questo stiamo giocando una partita molto importante, i cui frutti _ abbondanti _ potranno essere goduti nei prossimi decenni, dalle nuove generazioni di brasiliani!

Da anni, il Brasile è famoso in tutto il mondo, per la competenza e l’abilità del nostri chirurghi plastici. Più di recente, anche per la maestria dei nostri dentisti: sono veramente bravi! Ma in materia di Medicina _ vi posso assicurare _ abbiamo molto di più da offrire!

Scusate per lo sfogo nazionalista, ma _ come dite voi _ quando ci vuole, ci vuole!

di Carmen de Andrade Inviato su Personale

Oração de São Francisco de Assis

Senhor, faze de mim um instrumento da tua paz:
Onde houver ódio, que eu leve o amor. 
Onde houver ofensa, que eu leve o perdão.
Onde houver discórdia, que eu leve a união. 
Onde houver dúvidas, que eu leve a fé. 
Onde houver erros, que eu leve a verdade. 
Onde houver desespero, que eu leve a esperança. 
Onde houver tristeza, que eu leve alegria. 
Onde houver trevas que eu leve a luz. 

Ó Mestre, 
Faze com que eu procure menos ser consolado, que consolar. 
Ser compreendido, que compreender. 
Ser amado, que amar!

Porquanto, é dando que se recebe. 
É perdoando que se é perdoado. 
E é morrendo que se vive para a vida eterna.
Amém!

di Carmen de Andrade Inviato su Personale

Glicogenosi del tipo IV

Ultimamente si parla tanto della Glicogenosi del tipo IV o glycogen storage disease type IV (GSD IV) in Italia. Gran parte degli allevatori italiani è corsa ai ripari e ha fatto analizzare i proprio riproduttori, non senza spiacevoli sorpresa: ci sono troppo carrier (portatori sani di questa malattia genetica) in giro per il “Bel Paese”.

Mi astengo di fare commenti su “come” e “cosa” ha dato il via a questa situazione che non saprei bene come classificare! Ad ogni modo, un po’ più di serietà e competenza avrebbero potuto evitare che questo accadesse, anche quando di questa malattia quasi _ e ripeto _ quasi non si parlava! Magari non si sarebbe riusciti ad evitare del tutto l’accaduto ma, sicuramente, il fenomeno carrier non si sarebbe espanso a macchia d’olio, come è successo!

Per chi ancora non lo sa, la Glicogenosi del tipo IV è una malattia ereditaria del metabolismo del glucosio. La malattia è causata dalla mancanza dell’enzima ramificante, chiamato GBE (Glycogen Branching Enzyme). Questa disfunzione causa l’accumulo di glicogeno non ramificato nel organismo dei Gatti Norvegesi delle Foreste affetti.

Nella forma più corrente, i gattini muoiono alla nascita o poco dopo, perché sono incapaci di produrre abbastanza glucosio, necessario alla nascita ed alle prime ore di vita. Più raramente, i gattini possono vivere normalmente fino a 5 mesi, però, la malattia conduce velocemente ad un’atrofia muscolare, una debolezza cardiaca e neuromuscolare, ed alla morte del gatto entro i primi 15 mesi di vita.

La Glicogenosi del tipo IV è una malattia monogenica, dei Gatti Norvegesi delle Foreste, trasmessa secondo un meccanismo autosomico recessivo.

La frequenza di portatori di questa malattia negli Stati Uniti è di circa il 15%.

Attualmente, il Laboratorio ANTAGENE calcola la frequenza degli eterozigoti (portatori sani, detti anche carrier) al 10,8% della popolazione europea (settembre 2007).

L’analisi GSD-IV: un test affidabile e convalidato

L’analisi GSD-IV si basa sulla detezione di una mutazione del gene GBE1. Il Dr. John Fyfe dell’Università di Michigan (Stati Uniti) ha identificato il gene e le mutazioni impiegate in questa malattia (Fyfe et al. 2007). In collaborazione con il Dr. John Fyfe, il Laboratorio ANTAGENE ha sviluppato il test genetico e l’ha convalidato su Norvegesi portatori ed affetti di Glicogenosi del tipo IV.

Il test del DNA è affidabile, facile da realizzare (grazie ad un semplice striscio via orale), realizzabile da quando l’animale è identificato (microchip o tatuaggio) ed effettuato solo una volta nella vita del gatto.

Il test DNA permette l’individuazione precoce dei gatti sani, una scelta dei riproduttori, un’adattazione degli accoppiamenti, allo scopo di limitare la mortalità neonatale legata a questa malattia. Permette anche di evitare la nascita di gattini affetti di glicogenosi e di frenare la propagazione della malattia nell’ allevamento e/o nello sviluppo della razza.

Si raccomanda di testare i gatti provenienti dalle famiglie più particolarmente toccate da questa malattia, e di testarei riproduttori ricercati e/o che si riproducono molto, allo scopo di impedire la propagazione esponenziale di questa malattia nella razza.

Vuoi saperne di più: http://www.gattonorvegese.it/finestre/finestra_dettagliGSD-IV.htm

Con una semplice richiesta, i kit di prelievo vengono inviati. Il prelievo con striscio via orale deve, dunque, essere realizzato ed autenticato dal veterinario, allo scopo di rilasciare un certificato genetico. Di seguito, il prelievo dev’essere inviato al laboratorio ANTAGENE. Per maggiori informazioni sulle nostre prestazioni: www.antagene.com

ANTAGENE – LABORATORIO DI ANALISI E DI RICERCA IN GENOMICA ANIMALE
Immeuble Le Meltem – 2, allée des Séquoias – 69760 Limonest – France
Tél :  33 (0)4 37 49 90 03  – Fax : 33 (0)4 37 49 04 89 –
www.antagene.comantagene@antagene.com

 

GSD-IV… II: Preservare linee di sangue importanti, ma "carrier"

Nell’ambito della GSD-IV, malattia ereditaria causata dalla mancanza dell’enzima ramificante, chiamato GBE (Glycogen Branching Enzyme), tipica dei Gatti Norvegesi delle Foreste, ho saputo che alcuni allevatori difendono la possibilità o la necessità di promuovere l’accoppiamento di soggetti detti carrier, cioè, portatori sani, con soggetti non portatori, cioè assolutamente sani, per salvaguardare e/o preservare linee di sangue ritenute "importanti".

Personalmente _ anche se la questione non mi riguarda, poiché i miei riproduttori sono tutti testati e risultati omozigoti normali _ sono del parere che un accoppiamento tra un gatto carrier (portatore sano) e un gatto SANO, considerando il rischio che questo comporta (l’eventualità della espansione della malattia) potrebbe giustificarsi solo in presenza di una linea di sangue veramente eccezionale.

E anche così, con tutte le attenzione e le cure che ciò richiede:

_   nata la cucciolata, attendere la crescita dei cuccioli (100%) fino a due mesi di vita;

_   chiedere dei "kit di prelievo" per tutta (100%) la cucciolata, perché il loro DNA venga analizzato uno ad uno;

_  una volta individuati i cuccioli sani (50%) e quelli carrier (50%) cedere i soggetti omozigoti normali ad allevatori o privati;

_ tenere con sè, fino a sei-otto mesi di vita, i cuccioli (50%) carrier e _ questo è il punto più importante _ provvedere alla loro castrazione/sterilizzazione per, solo di seguito, cederli come "gatti da compagnia". Questo, secondo me, dovrebbe essere l’atteggiamento dell’allevatore serio, nel caso desiderasse preservare una linea di sangue importante e, allo stesso tempo, volesse frenare, in totale sicurezza, la moltiplicazione dei soggetti carrier.

Non si può, nel modo più assoluto, perché sarebbe sempre un atteggiamento irresponsabile, delegare a terzi il compito di castrare/sterilizzare i cuccioli carrier. Noi, allevatori, sappiamo bene che dopo che i cuccioli lasciano le nostre case, diventa difficile _ per non dire impossibile _ mantenere il controllo totale sulla loro vita.

Per cui, l’unico modo di arginare il fenomeno GSD-IV è assumere, in prima persona, la totale responsabilità per i soggetti carrier. Sia impedendo loro di accoppiarsi, sia facendo il test del DNA e provvedendo alla castrazione/sterilizzazione dei soggetti carrier nati in una cucciolata fatta con l’intento di salvaguardare una linea di sangue considerata importante.

Tuttavia, conoscendo il modus operandi di alcuni allevatori _ naturalmente proprio quelli che ritengono di avere, tra i loro riproduttori, linee di sangue importantissime… _ la mia previsione è che, una volta promosso questo tipo di accoppiamento, si cercherà il cucciolo più bello, da mantenere nell’allevamento, si farà analizzare il suo DNA e, una volta risultato "omozigote normale", il restante della cucciolata sarà ceduto senza altri indugi, magari con la "raccomandazione" perché i cuccioli siano testati più avanti nel tempo…

Così, si perderà il controllo sui cuccioli carrier, con l’inevitabile propagazione esponenziale della malattia tra i Gatti Norvegesi delle Foreste.

È veramente un peccato che una razza _ il Gatto Norvegese delle Foreste _ che poteva vantarsi di non avere nel suo patrimonio genetico nessuna tara, stia diventando sempre di più preda di queste malattie _ GSD-IV, HCM (che era tipica del Maine Coon) e addirittura PKD (malattia tipica del Persiano), ovviamente, grazie al tempestivo e puntuale (si prega di leggere con tutta la carica di ironia possibile!) intervento dell’uomo.